La profittabilità del social
Secondo recenti stime, contenute nel rapporto del McKinsey Global Institute, i social network aziendali (Enterprise Social Networks, ESN) sono in grado di migliorare la produttività dei lavoratori del terziario avanzato del 20-25%, perché riducono il tempo normalmente dedicato alle e-mail (lettura e scrittura), alla ricerca e raccolta di informazioni e alle comunicazioni interne.
I punti deboli: a limitare questi benefici c’è l’ancora diffusa mancanza all’interno delle aziende di un solido social network interno. L’ostacolo maggiore risiede nella cultura aziendale, piuttosto che nelle problematiche tecnologiche. Ad alimentare la diffidenza da parte dei dirigenti è soprattutto una mancanza di chiarezza sulle modalità di impiego delle tecnologie sociali. Esistono dei termini spesso utilizzati che però sono imprecisi e superficiali come “Facebook per aziende” o “Twitter per aziende” o in generale “social network aziendali”, termini che fanno immaginare una piattaforma di gossip d’ufficio dove i dipendenti condividono foto dei loro bambini e dei loro animali domestici.
Per ottenere un reale successo dall’utilizzo dei social network, sottolinea Richard Hughes, è invece necessario che le iniziative basate su social network all’interno di un’organizzazione vadano a “coadiuvare l’attività lavorativa, aiutando i dipendenti ad aumentare la produttività nelle attività che svolgono, piuttosto che istituire un ulteriore canale di comunicazione da seguire”. Perché l’implementazione di una ESN abbia successo è necessario che questa sia in grado di essere un supporto per il lavoro vero e proprio. Questo è ovviamente più semplice, nonché più conveniente per le aziende che possiedono una forza lavoro distribuita, i vantaggi sono meno evidenti invece nelle piccole imprese in cui tutti i dipendenti lavorano nello stesso ufficio.
Le iniziative di social collaboration con maggiore indice di successo sono infine quelle in cui le aziende “si impegnano nel garantire una maggiore apertura e incoraggiano i dipendenti a prendere decisioni autonome”, conclude Hughes.