Start-up e ripartenza aziendale: come gestire le risorse limitate
Quando le risorse finanziarie sono scarse e il contesto economico incerto, ci sono alcune accortezze che gli imprenditori devono tenere ben in mente.
Con la ripartenza dopo il lockdown “morbido”, verso un’Italia tutta a zona bianca, l’intero tessuto imprenditoriale si sta muovendo per cogliere l’occasione.
C’è chi è stato costretto a chiudere in modo permanente e ha lasciato nuove opportunità agli avversari di sempre, chi si sta preparando ad attaccare il mercato con la propria impresa – meglio ancora se rivisitata – e chi sta aprendo completamente da zero, con grande coraggio e tante incertezze.
Di fatto, tutti questi tipi di impresa sono accomunati da bisogni comuni, in particolare quello di gestire spese fisse, personale e rete vendite di fronte all’incertezza del nuovo contesto, in una fase di instabilità e con poche risorse economiche.
In particolare, la gestione delle persone con cui si collabora è un aspetto fondamentale che può decretare il successo o il fallimento di un’impresa anche se dotata delle migliori idee e di un solido business plan e – con questo articolo – voglio fornire degli spunti utili a tutti quegli imprenditori che vogliono avviare, ri-avviare o far crescere la propria impresa. – [E per chi volesse approfondire ulteriormente l’argomento è disponibile il webinar gratuito “(Ri)Start-up: come gestire le risorse per la (ri)partenza“]
A tal riguardo, ti riporto le considerazioni di Bill Gates – grazie alla sua esperienza in Microsoft:
“È importante che nei primi anni tu abbia un team che ha scelto di lavorare in maniera maniacale per l’azienda. E da questo punto di vista, dovreste stabilire un livello di comprensione reciproca, in modo tale che tu e gli altri non abbiate aspettative diverse.”
Bill Gates
Dietro a queste parole si nascondono una serie di consigli pratici che possono davvero fare la differenza, evitandoti di fare quegli errori organizzativi assai comuni e sin troppo diffusi che tuttavia molti imprenditori compiono, soprattutto quando operano in condizioni di restrizioni finanziarie!
Infatti, almeno una parte di chi ha buone idee imprenditoriali dispone di una visione chiara e concreta su come stanno le cose nel presente e di una visione a lungo termine nitida su dove vuole arrivare, su che impatto vuole avere nel resto del mondo. Ma manca di una visione a medio termine che consente di raggiungere gli obiettivi intermedi e le pietre miliari necessarie al raggiungimento degli obiettivi generali.
E questo è vero tanto per le imprese in condizione di start-up, quanto per le imprese già affermate che vogliono crescere. Capita infatti di trovare molte imprese con un flusso finanziario lento per svariate cause – dal loro modello di business alla crisi – e che hanno i propri capitali già occupati dalle spese per il mantenimento del business attuale, che fanno fatica a trovare le risorse per grandi cambiamenti o per aggredire nuove aree di mercato.
In questi casi, è facile l’attivazione del meccanismo psicologico di difesa tipico dei gruppi di lavoro e noto come “fuga nel futuro”, che è centrato in una eccessiva focalizzazione sul risultato voluto e sul pensiero magico che prima o poi, in qualche modo, si raggiungerà l’obiettivo e che bisogna solo tenere duro. Meccanismo che è ben diverso dal mantenere saldo l’obiettivo a livello mentale ed utilizzare le proprie risorse psicologiche per trovare risposte agli interrogativi ancora irrisolti e risolvere i problemi pratici.
Inoltre, in Italia molti imprenditori non sono degli esperti in marketing e finanza capaci di progettare al centesimo un’impresa, ma abili tecnici o manager, dotati di grandi abilità e conoscenza del proprio settore, che tendono a iniziare con poco ed a delegare ad altri man mano che l’impresa cresce. Questo sistema poteva funzionare nell’era pre-crisi dove i clienti compravano in modo più facile e spontaneo ma, man mano che le crisi si alternano o si intensificano, questo meccanismo diventa sempre più difficile da applicare per due motivi:
- Il primo è che, concentrandosi sull’operatività, mancano le energie mentali e le risorse per curare il marketing, la strategia d’impresa e le pubbliche relazioni per la propria impresa.
- Il secondo è che diventa molto più difficile razionalizzare le poche risorse disponibili a livello finanziario, iniziare a strutturare un’impresa e si tende a restare nel caos operativo, dove tutti fanno tutto.
Il risultato è una lentezza operativa esasperante, che porta a frustrare l’imprenditore che non vede risultati e che consuma velocemente le risorse fisiche e motivazionali dei collaboratori, soprattutto quando i continui aggiustamenti di rotta costringono a ripartire (quasi) da zero, senza raggiungere progressi. A tal riguardo, lo stesso Bill Gates aveva anche commentato, in un’altra occasione, quanto segue:
“Il mondo dei software è un mercato in cui il vincitore prende tutto.
Bill Gates
Quindi il più grande errore che ho commesso è legato alla mia cattiva gestione e ha fatto sì che Microsoft non fosse ciò che è Android. Nel senso che Android è la piattaforma standard non-Apple.
Era una battaglia che Microsoft avrebbe potuto vincere in maniera naturale. Ed è incredibile come, nonostante abbia commesso uno dei più grandi errori di sempre e ci fosse in atto una causa antitrust, Windows e Office siano ancora molto forti.
Siamo una compagnia leader. Ma se avessimo gestito bene quell’aspetto, saremmo stati LA compagnia. Ma pazienza”
In effetti, penso che qualsiasi persona un po’ accorta si sia chiesta perché non sia mai stato possibile ottenere la stessa fluidità di scambio dati e connessione dei dispositivi Apple anche tra Windows e Android, ma non è questo il punto.
Il punto è che la lentezza decisionale e l’errore umano hanno fatto perdere a Microsoft una battaglia che avrebbe potuto vincere naturalmente, non la concorrenza. E che nessun imprenditore italiano può permettersi di dire “pazienza” davanti alle opportunità mancate: stando fermi, anche quando le cose vanno bene, consente alla concorrenza di superare la nostra impresa e di creare i presupposti per farci fallire.
La differenza è che Bill Gates non ha più quella “fame” che stimola invece un imprenditore a ricercare il successo, ma ha altre leve motivazionali, tipiche di chi si sente già arrivato e non deve dimostrare più niente. Pertanto, sono motivazioni diverse da quelle dell’imprenditore di PMI che deve costantemente mantenere il proprio successo.
“Successo”, infatti, è qualcosa che è avvenuto, che è accaduto e che deve essere confermato ogni giorno; è qualcosa che difficilmente si può ottenere da soli come un “one-man show” ma si costruisce unendo buone idee con asset economici, materiali e persone affidabili con competenze diverse e complementari.
Non è pensabile che i migliori talenti possano produrre risultati in mancanza di adeguati strumenti e risorse, così come gli asset rimangono inerti se non c’è chi li usa per produrre valore. I così detti fenomeni di certo non si mettono a lavorare ai progetti di qualcun altro, soprattutto a condizioni economiche inadeguate, se non quando sono costretti a fronteggiare temporanei momenti di difficoltà. E, quando le cose non funzionano, le persone si limiteranno nel migliore dei casi a restare in orbita di un progetto per puro opportunismo, per vedere se qualcun altro riesce a farlo partire e decollare davvero, ma senza sprecare tempo ed energie.
Anche perché non tutti i possibili partner e collaboratori possono avere le spalle coperte economicamente: credere fortemente in un progetto non basta quando i guadagni sono troppo spostati in avanti nel tempo e le persone non sanno di che vivere mentre si impegnano in altri progetti: lavorare costa ed un progetto che per stare in piedi ha bisogno dello straordinario non pagato dei propri collaboratori o di eterni sacrifici da chi svolge il lavoro più pratico è un progetto dalle fondamenta fragili destinato prima o poi a crollare.
Dunque, come fare? Fornire una formula generale ai singoli casi specifici non è possibile ma è possibile fare riferimento a diverse best practices per gestire al meglio queste situazioni, tra le quali:
- Definire con la massima precisione possibile la posta in gioco, il ROI e i compensi per le persone coinvolte, incluse promozioni, stabilizzazione del posto di lavoro, assegnazione dei ruoli manageriali e relativi stipendi
- Chiarire quali sono le risorse disponibili fornite dall’imprenditore e quali quelle fornite dalle altre persone coinvolte, così come l’impegno atteso
- Stilare una linea temporale con le pietre miliari e gli obiettivi generici da raggiungere, ad esempio avvalendosi del diagramma di Gantt per avere almeno una stima di cosa vada fatto ed in quale tempo
- Accertarsi della sostenibilità del progetto non solo dal punto di vista economico e finanziario ma anche da quello del carico di lavoro atteso dalle persone
- Mantenere una unica velocità per la parte di marketing e di sviluppo commerciale da un lato, e per il back-office e l’operatività interna dall’altro
- Adottare estrema trasparenza riguardo le difficoltà attese, senza indorare la pillola, ed anzi cercare di essere addirittura più severi e pessimisti.
Gli ultimi 3 punti sono particolarmente importanti: ho visto infatti molti casi in cui gli imprenditori sottostimano le problematiche pratiche del quotidiano ed affogano le proprie risorse di lavoro, per poi lamentarsi che non sanno lavorare. Alcuni esempi sono dati dalla sottostima del tempo per seguire i clienti, dalle percentuali di errore, delle risorse e del tempo necessario per la realizzazione di un prodotto o erogazione di un servizio.
Ancora, per quanto una struttura debba essere fluida inizialmente, è molto importante assegnare dei ruoli chiari alle persone coinvolte e strutturare un chiaro patto psicologico su aspettative, responsabilità e futuro che fa da anticamera per un contratto effettivo. E, in tale contesto, è umanamente comprensibile che ci siano degli elementi traballanti – come i contratti che non sono ancora a posto, gli strumenti di lavoro che devono essere integrati etc. giusto per fare qualche esempio – perché se si aspetta che tutto sia perfetto, non si parte mai, mentre “buono” è abbastanza buono per iniziare. Ma in questi casi bisogna dedicare immediatamente i primi soldini che entrano ed ogni minuto di tempo libero per sistemare le cose che non vanno, anziché lasciare le storture intatte nella speranza che nessuno se ne accorga.
Ancor prima del Fisco e dei clienti, saranno gli stessi collaboratori ad accorgersene: sono loro a “testare” ciò che l’impresa fornisce e a fornire i feedback su come migliorare l’operatività, la struttura interna e ogni cosa che serve per concretizzare il modello di business in una realtà funzionante e positiva. Ma se i loro commenti vengono ignorati, se ci sono le promesse di risolvere i problemi e invece nulla cambia, saranno i primi ad andarsene e si creerà velocemente una spirale di demotivazione che non consentirà mai di contare su professionisti stabili: nessuno vuole fare da “cavia” agli errori di un imprenditore, testati sulla propria pelle, e i nuovi arrivati ci metteranno poco a capire che un’impresa non funziona e ad andarsene, per non parlare del risentimento e del passaparola negativo che renderà ancor più duro il lancio di nuovi progetti.
Il lato positivo è che molte nuove realtà riescono a superare la fase di start-up ed è possibile evitare o prevenire certe situazioni iniziando con le linee guida prima suggerite. Certamente è solo un inizio, ma è il miglior inizio verso il successo per chi è disposto a mettersi in gioco.